Le motivazioni della sentenza di assoluzione per la contestazione a Salvini

Abbiamo deciso di pubblicare le motivazioni della sentenza n 2181 dell’anno 2018 emessa dal giudice monocratico di Lucca, Gerardo Boragine, anche per provare a porre fine alle insinuazioni, alle inesattezze e ai luoghi comuni che hanno accompagnato certi commenti. Lasciamo da parte le opinioni e stiamo ai fatti. 

SVOLGIMENTO del PROCESSO

In data 9.12.2015 il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lucca emetteva il decreto penale di condanna n. 1474/15 nei confronti dei seguenti imputati: Di Beo Michelangelo, Giannetti Alessandro, Giannelli Mario, Della Pina Agostino, Coltelli Andrea, Redondi Luca, Lunardini Laura, Giannini Gioia, Giusti Alessandro, Bergamini Daniele, Maffei Andrea, Valleroni Cinzia, Valenzi Nicola, Simonelli Ruggero, Barsottelli Barbara, Salvatori Filippo, Martinelli Nicolò, Caddeo Luna, Ulivi Andrea, Marku Amarildo, Giusti Cristian, Giusti Roberto, Pezzoli Nicolò, Tazioli Lorenzo, Giusti Andrea, Marsili Samuele, Venturini Gianluca e Macaluso Angelo.

Ai predetti erano state ascritte le contravvenzioni previste e punite dagli artt. 18 T.U.L.P.S. e 655 c.p. “perché facevano parte di una adunata sediziosa, precisamente in occasione della programmata manifestazione elettorale di sostegno ai candidati della Versilia organizzata dal partito politico della Lega Nord con la diretta partecipazione del Segretario Federale Onorevole Matteo Salvini, si raggruppavano, senza fornire avviso all ‘Autorità di Pubblica Sicurezza, in via Battisti nel tratto compreso tra via S. Martino e via Verdi attuando una estemporanea manifestazione di protesta consistente nello scandire slogan contro la lega Nord e l’Onorevole Salvini, disturbando il suo intervento con fischietti e trombette, sventolando bandiere del Partito Comunista dei Lavoratori e vessilli con la scritta Azione Antifascista, al termine dell’intervento raggiungevano la vettura Volvo targata EX025ZW a bordo della quale era salito I ‘Onorevole Matteo Salvini scagliando contro UOVa, diffondevano volantini con l’immagine del volto di Salvini che al posto del cervello aveva escrementi, Giannetti Alessandro sferrava due colpi con le mani sopra l’autovettura, esprimendo con i comportamenti sopra descritti, ribellione, insofferenza, feroce discordia nei confronti degli aderenti e simpatizzanti della Lega Nord ritenuti avversari politici” (capo A).

In relazione a tale reato, pertanto, tutti i predetti imputati venivano condannati, con il citato decreto, alla pena di € 1.250,00 di ammenda ciascuno.

Inoltre, Di Beo Michelangelo veniva ritenuto responsabile anche della contravvenzione di cui all’art. 703 c.p. “perché, lungo una pubblica via e precisamente durante la manifestazione descritta al capo A) accendeva due artifizi fumogeni senza licenza dell ‘Autorità di PS” (capo B) e, di conseguenza, nei suoi confronti veniva irrogata la pena ulteriore di € 100,00 di ammenda.

Ad eccezione di Bergamini Daniele, tutti gli imputati proponevano opposizione avverso il predetto decreto penale di condanna; per l’effetto, costoro venivano rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Lucca in composizione monocratica ai sensi dell’art. 464 c.p.p. per rispondere delle contravvenzioni sopra indicate.

L’udienza del 18.7.2017 che dava avvio alla fase dibattimentale, veniva rinviata, stante l’adesione delle Difese all’astensione dalle udienze penali indetta dall’Unione Camere Penali Italiana.

Nel corso della successiva udienza, celebrata in data 9.3.2018 il Tribunale, preso atto della rinuncia all’opposizione da parte dell’imputato Giusti Cristian, dichiarava nei suoi confronti l’esecutività del decreto penale di condanna n. 1474/15.

Si procedeva, altresì, a pronunciare sentenza di non doversi procedere ex art. 129 c.p.p. nei confronti di Valleroni Cinzia per morte dell’imputata, come attestato dal relativo certificato depositato in udienza.

Quindi, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento ed all’udienza del 25.5.2018 ammetteva le prove documentali e testimoniali richieste dalle parti, tra le quali i supporti informatici contenenti le immagini relative ai fatti per cui si procede, un volantino, nonché materiale fotografico ed ulteriore documentazione.

Aveva, così, inizio l’istruttoria con l’esame dei testi sovrintendente Capo Fantozzi Marco ed ispettore Angiulli Maria Luisa — appartenenti alla Polizia di Stato —, nonché degli imputati Venturini Gianluca, Marsili Samuele e Valenzi Nicola.

L’esame degli imputati Giusti Roberto, Salvatori Filippo, Martinelli Nicolò, Maffei Andrea, Giusti Alessandro e Giannelli Mario si svolgeva all’udienza tenutasi in data 28.9.2018.

All’udienza del 9.11.2018 venivano sentiti i testi dedotti dalle Difese Castoro Eleonora, Carmassi Stefano, Neri Gianfranco, Poletti Claudio, Lepore Licio e Primon Cinzia.

Infine, nel corso dell’udienza celebrata in data 14.12.2018 veniva escusso l’imputato Di Beo Michelangelo e si procedeva, altresì, all’esame degli ulteriori testi a difesa Ferrara Isabella e Giorgi Chiara, nonché di Giannini Gioia ex art. 210 c.p.p.

All’esito, avendo le Difese rinunciato — con il consenso del Pubblico Ministero all’audizione degli ulteriori testimoni dalle medesime indicati nelle rispettive liste (tra cui Salvini Matteo, Pardini Federico, Piccolomini Stefano, Borghi Claudio, Luisi Alessandro e molti altri), con conseguente revoca delle ordinanze ammissive della relativa prova dichiarativa, il Tribunale, ravvisata la superfluità di ulteriori assunzioni probatorie, dichiarava chiusa l’istruttoria dibattimentale ed invitava le parti a rassegnare le rispettive conclusioni.

MOTIVI della DECISIONE

a) La ricostruzione dei fatti

La vicenda, dal punto di vista fattuale, può essere ricostruita e riassunta nel modo che segue, sulla scorta della documentazione acquisita e degli esami effettuati nel corso del dibattimento.

In data 16.5.2015 a Viareggio, in occasione della manifestazione elettorale di sostegno ai propri candidati organizzata dal partito politico della Lega Nord, era stata programmata la diretta partecipazione del segretario federale onorevole Matteo Salvini.

Due gli appuntamenti previsti nella città.

Il primo consisteva in un incontro tra il segretario federale ed i rappresentanti del citato partito politico presso un gazebo allestito in via Cesare Battisti, nella zona del mercato, precisamente nel tratto compreso tra via S. Martino e via Verdi.

La seconda tappa era data da un comizio del medesimo parlamentare in piazza Margherita.

Entrambi gli impegni venivano platealmente disturbati da una schiera di contestatori, che davano vita ad una manifestazione di protesta, dissenso ed intolleranza avverso la presenza nella città viareggina dell’avversario politico.

Taluni dei suddetti manifestanti, odierni imputati, erano soggetti già noti alle forze di polizia per motivi d’ufficio. Ed, infatti, il sovrintendente Fantozzi Marco — nel corso della sua escussione dibattimentale avvenuta all’udienza del 25.5.2018 — indicava in Di Beo Michelangelo, Giannetti Alessandro, Giannelli Mario, Della Pina Agostino, Coltelli Andrea, Redondi Luca, Lunardini Laura, Giannini Gioia, Giusti Alessandro, Maffei Andrea, Valenzi Nicola, Simonelli Ruggero, Barsottelli Barbara, Salvatori Filippo, Martinelli Nicolò, Marsili Samuele, Vanturini Gianluca e Macaluso Angelo alcuni dei partecipanti alla manifestazione (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018 testim. Fantozzi, pag. 8).

L’identificazione dei restanti contestatori nei cui confronti oggi si procede, soggetti precedentemente sconosciuti alle forze dell’ordine, richiedeva l’espletamento di una ulteriore attività di indagine, effettuata attraverso la visione e l’analisi dei filmati dell’avvenimento e l’ausilio del social network Facebook.

Come già affermato, il primo impegno dell’onorevole Salvini era previsto nella zona del mercato, presso il gazebo allestito in via Cesare Battisti, nel tratto compreso tra via S. Martino e via Verdi.

Sul posto, ove erano stati dislocati due cordoni di polizia, un nutrito gruppo di manifestanti aveva cominciato a riunirsi nelle prime ore del pomeriggio.

Antitetiche le reazioni che accoglievano l’arrivo del segretario federale: agli applausi elargiti dalla schiera dei suoi sostenitori si contrapponevano i fischi, le grida, gli slogan e le frasi offensive provenienti dai contestatori, i quali erano tenuti a distanza dalla personalità politica ad opera degli agenti di polizia presenti in loco (v. DVD “T.D. “, cartella Salvini, traccia M2U00060).

Al termine di tale breve incontro, il deputato si dirigeva, inizialmente a piedi per poi proseguire in macchina, presso il secondo obiettivo in passeggiata.

L’autovettura che trasportava l’onorevole Salvini verso piazza Margherita veniva raggiunta in via Verdi, all’incrocio con via Paolina Bonaparte, da una decina di manifestanti.

Tra questi, in particolare, due soggetti si contraddistinguevano per il loro contegno.

Il primo, tale Giannelli Mario riconosciuto personalmente sul luogo e nell’immediatezza del fatto dall’ispettore Angiulli Maria Luisa — lanciava verso l’automobile volantini denigratori del predetto esponente del partito della Lega Nord, raffiguranti il suo volto con immagini di escrementi al posto del cervello (v. materiale fotografico in atti).

Un secondo, tale Giannetti Alessandro, anch’egli individuato prontamente dalla predetta Angiulli, colpiva con decisione due volte il tetto dell’autovettura — che procedeva a passo d’uomo con entrambe le mani, provocandone alcune ammaccature (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Angiulli, pag. 21; v. anche

A quel punto, il conducente fermava il veicolo e scendeva immediatamente; così il pubblico ufficiale Angiulli descriveva la sua condotta: “..A un certo punto ha fermato la macchina ed è sceso, mi sembra che aveva una bottiglietta in mano con dell ‘acqua che ha tentato di lanciare, però è rimasta in mano a lui e probabilmente no, la bottiglietta dell ‘acqua è rimasta in mano a lui, però probabilmente il gesto l’ha fatto, no, no, il gesto l’ha fatto e logicamente a chi era diretta la bottiglietta si è scansato.. (v. verbale stenotipico, udienza 25.5.2018, testim. Angiulli, pag. 23).

Il breve momento di tensione, tuttavia, veniva prontamente superato e la situazione riportata alla calma.

Proseguiva, dunque, il tragitto dell’autovettura con a bordo l’onorevole Salvini lungo via Verdi, in direzione piazza Margherita, ove si trovava qualche centinaio di persone ed un consistente dislocamento di forze dell’ordine, sia a protezione del palco sul quale si sarebbe svolto il comizio, sia lungo la strada limitrofa.

All’imbocco del cd. viale a mare, il percorso della vettura ridetta veniva nuovamente ostacolato dai manifestanti, la cui presenza induceva il dirigente del servizio a modificare il percorso ed a posticipare il comizio (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Angiulli, pag. 22).

Il palco, sul quale nel frattempo si erano succeduti i candidati della Lega Nord alle elezioni amministrative locali, veniva, finalmente, raggiunto dal deputato Matteo Salvini nel tardo pomeriggio, allorquando la situazione appariva riportata alla normalità.

Anche in questa circostanza, però, proseguiva l’attività di disturbo ad opera dei contestatori, alcuni dei quali, tra l’altro, scagliavano uova contro il palco che ospitava i menzionati esponenti politici.

Il successivo espletamento di una capillare attività di indagine consentiva alla polizia giudiziaria di individuare, quali soggetti autori della predetta condotta, Giusti Andrea, il quale teneva in mano un sacchetto contenente una confezione di uova, Ulivi Andrea, Pezzoli Nicolò, Giovannoni Alessio e Giannetti Alessandro, colti nell’atto di lanciare le uova (v. DVD “Allegato annotazione per contestazioni On. Salvini Viareggio, 16.05.2015” e relativo materiale fotografico).

Nel corso del comizio, un altro dei manifestanti, tale Di Beo Michelangelo, situato a poca distanza dal cordone di polizia, accendeva artifizi fumogeni di colore rosso, i quali, esaurito il loro effetto, venivano lasciati cadere a terra (v. DVD “Allegato annotazione per contestazioni On. Salvini – Viareggio, 16.05.2015” e relativo materiale fotografico).

Sono, invece, rimaste del tutto vaghe ed indefinite le circostanze relative ad un presunto lancio di sassi sul palco destinato al comizio elettorale.

In proposito, il sovrintendente di P.S. Fantozzi così si esprimeva in sede di esame dibattimentale: “…Dice che sia stato lanciato anche un sasso, quello non siamo riusciti a individuare chi lo può aver lanciato…’ (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Fantozzi, pag. 5).

Peraltro, se è vero che dalla visione dei filmati acquisiti al fascicolo del dibattimento emerge l’immagine di un sasso esibito alle telecamere, è altrettanto vero che — in sede processuale – è rimasto incerto non solo il fatto materiale del lancio della cosa pericolosa, ma anche l’individuazione dell’autore eventuale del lancio medesimo. E, del resto, queste emergenze appaiono coerenti con l’opzione della Procura della Repubblica di non contestare ad alcuno dei manifestanti la predetta condotta illecita.

b) Le contestazioni della Pubblica Accusa

In primis, evidenzia l’odierno giudicante come la mera lettura dei capi di accusa consenta di apprezzarne la estrema analiticità.

Si è già affermato che due erano gli eventi organizzati per il 16.5.2015 nella città di Viareggio: l’incontro dell’onorevole Salvini con i rappresentanti del proprio partito presso il gazebo sito nella zona del mercato ed il successivo comizio sul palco in piazza Margherita.

Orbene, il capo A) dell’imputazione individua una serie specifica di condotte poste in essere dapprima in via Cesare Battisti, e più precisamente nel tratto compreso tra via S. Martino e via Verdi, date dalla “estemporanea manifestazione di protesta consistente nello scandire slogan contro la lega Nord e l’Onorevole Salvini, disturbando il suo intervento con fischietti e trombette, sventolando bandiere del Partito Comunista dei Lavoratori e vessilli con la scritta Azione Antifascista”

Segue, quindi, il riferimento ad ulteriori e dettagliate condotte, consistite nel diffondere volantini denigratori, nel lanciare uova contro l’autovettura a bordo della quale era salita la personalità politica nonché nell ‘arrecare alla stessa alcune ammaccature.

La Pubblica Accusa, dunque, ripercorre analiticamente nel capo di imputazione l’intera vicenda per come sviluppatasi dall’area del mercato a quella del comizio, ove, peraltro, avveniva I ‘accensione dei fumogeni oggetto di contestazione di cui al capo B).

c) Le singole fattispecie di reato

Il giudizio sulla liceità penale delle condotte accertate passa necessariamente attraverso una accurata analisi delle fattispecie oggetto di addebito.

Trattasi, in vero, di ipotesi contravvenzionali che richiedono una interpretazione costituzionalmente orientata, sorretta dai principi e valori fondamentali che contraddistinguono l’attuale assetto politico-costituzionale, improntato alla tutela ed al costante contemperamento dei diritti di libertà dei cittadini.

Vengono in rilievo, nel caso de quo, i diritti di riunione e di critica in materia politica, espressioni del più generale diritto di libera manifestazione del pensiero, consacrato dalla Corte Costituzionale quale «pietra angolare dell ‘ordinamento democratico» (Corte Cost., sentenza n. 84 del 17.4.1969).

La prerogativa dell’individuo di riunirsi e di esprimere liberamente in luogo pubblico la propria opinione nei confronti dell’esercizio della funzione di indirizzo politico rappresenta, indubbiamente, un momento fondamentale per lo sviluppo della sua personalità. D’altronde, la crescita delle moderne società democratiche rinviene la sua base fondamentale proprio nella contrapposizione dialettica tra posizioni politiche differenti.

E, tuttavia, i diritti predetti incontrano un limite nel rispetto e nella tutela di un altro valore parimenti fondamentale, quello della libera e pacifica convivenza.

Nessun pregiudizio deve, infatti, essere arrecato alla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica ovvero della incolumità pubblica, il quale, essendo la precondizione essenziale affinché possa essere garantita l’effettiva libera esplicazione della personalità di ciascuno all’interno di una società civile, assume un’importanza prioritaria nel contemperamento dei diversi interessi in gioco.

1) La contravvenzione di cui all’art. 18 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18.6.1931, n. 773)

Come è noto, l’art. 17 Cost. prescrive che le riunioni si svolgano pacificamente e senz’armi e prevede l’obbligo del preavviso alle autorità laddove le medesime si tengano in luogo pubblico, ovvero — secondo quanto sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 1951 — «in luogo (ad esempio piazza, strada), su cui ogni persona può liberamente transitare e trattenersi senza che occorra in via normale il permesso della autorità», stante la loro ritenuta maggiore pericolosità.

Appare evidente l’intento del Costituente di ricondurre la libertà di riunione nell’alveo dei diritti inviolabili dell’uomo, contemperandola, al tempo stesso, con l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico.

Il contenuto essenziale della disciplina si ravvisa all’interno del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18.6.1931, n. 773 (di seguito T.U.L.P.S.), nonché nel relativo Regolamento di esecuzione di cui al R.D. 6.5.1940, n. 635.

L’art. 18 T.U.L.P.S. la cui violazione è oggetto di contestazione nel presente processo — impone ai promotori di una riunione in luogo pubblico di indirizzare al questore un avviso, almeno tre giorni prima rispetto alla data prevista per lo svolgimento della manifestazione.

Detto preavviso, lungi dall’essere funzionale al conseguimento di una preventiva autorizzazione, assurge al ruolo di strumento volto a consentire in tempi ragionevoli la predisposizione di un adeguato sistema di sicurezza idoneo a garantire che lo svolgimento della manifestazione non si trasformi in una attività socialmente dannosa o pericolosa.

Pertanto, il previo avviso, la cui omissione ben può costituire causa di impedimento della riunione, pone in grado il questore di valutarne la compatibilità con la conservazione delle condizioni di sicurezza e di incolumità pubblica, cui fa capo il potere di vietarne lo svolgimento ovvero di prescriverne modalità di tempo e di luogo in presenza di comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica (art. 17 Cost.) ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica (art. 18 T.U.L.P.S.).

Il questore diviene, dunque, titolare di un duplice potere, interdittivo e, in alternativa, prescrittivo. Un vero e proprio potere di veto, che, attesa la sua idoneità a comportare la compressione o, addirittura, il sacrificio di un diritto costituzionalmente riconosciuto, deve essere esercitato mediante l’adozione di provvedimenti sorretti da una rigorosa, corretta e coerente motivazione, che si riveli ispirata a canoni di ragionevolezza e proporzionalità (Cass. Pen., Sez. 1, 28.4.1994, n. 6812).

Ebbene, quanto sinora affermato impone necessariamente una prima osservazione in ordine al concetto di “promotore”, cui la disposizione in esame fa espresso richiamo nell’individuare il soggetto gravato dall’obbligo del preavviso.

Nel silenzio delle disposizioni legislative, la Suprema Corte ha chiarito che «risponde, come promotore di una riunione in luogo pubblico o di un corteo per le pubbliche vie, del reato contravvenzionale di omesso previo avviso al Questore, non soltanto chi progetta, indice, promuove e organizza la manifestazione, ma anche chi collabora alla realizzazione pratica e al buon esito della stessa, partecipando alla fase preparatoria» (Cass. Pen., Sez. 1, 21.10.2009, n. 42448; v. anche Cass. Pen., Sez. 1, 8.6.1995, n. 7883 e Cass. Pen., Sez. 6, 7.7.1975, n. 9140).

Nel caso di specie, la totale assenza di elementi probatori idonei ad attestare la preventiva predisposizione ed organizzazione di una vera e propria manifestazione di protesta avverso la presenza nella città di Viareggio dell’onorevole Salvini esclude in radice la possibilità di qualificare gli odierni imputati alla stregua di “promotori’ di una riunione in luogo pubblico.

D’altronde, è lo stesso capo di imputazione che parla di una “estemporanea manifestazione di protesta”, in tal modo evidenziandone il carattere improvvisato e spontaneo.

Certamente, l’arrivo del segretario federale della Lega nella città viareggina era notizia che aveva avuto una certa eco mediatica, soprattutto in considerazione delle contestazioni e degli scontri avvenuti in altre città — in alcuni casi con feriti — nel corso del tour elettorale del leader della Lega Nord. E di ciò, peraltro, dà atto il teste di polizia giudiziaria Fantozzi, che, interpellato sulle ragioni della mobilitazione da parte delle forze dell’ordine, riferiva che “sui social era stato preannunciato che sarebbe stata contestata la presenza di Salvini a Viareggio”, facendo poi riferimento ad un ‘tamtam tamtam” di partecipazioni (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Fantozzi, pag. 14).

Tuttavia, tale dato non è assolutamente sufficiente per poter asserire — con la certezza richiesta dal nostro ordinamento penale — l’esistenza tra gli odierni imputati di un preventivo accordo finalizzato alla progettazione di una contromanifestazione avverso la presenza della ridetta personalità politica nella città.

E ciò anche alla luce delle dichiarazioni rese dagli imputati Venturini Gianluca, Marsili Samuele, Valenzi Nicola, Giusti Roberto, Salvatori Filippo, Martinelli Nicolò,

Giusti Alessandro e Giannelli Mario, confortate dalle testimonianze di Castoro Eleonora, Carmassi Stefano, Neri Gianfranco, Lepore Licio, Primon Cinzia e Ferrara Isabella, i quali hanno escluso attività di promozione o di organizzazione della manifestazione di protesta poi sviluppatasi.

Tale materiale probatorio, complessivamente considerato, induce a condividere l’assunto difensivo in virtù del quale gli odierni imputati si erano recati — alcuni casualmente, altri animati da uno specifico interesse politico — singolarmente ed in maniera spontanea presso i luoghi adibiti alla manifestazione elettorale indetta dal partito della Lega Nord, di guisa che il raggruppamento di persone che ne è derivato deve essere qualificato in termini non di “riunione”, bensì, più correttamente, come mero “assembramento’

In ogni caso, a prescindere dalla qualificazione in termini di riunione ovvero di mero assembramento, occorre considerare che, a mente dell’art. 20 T.U.L.P.S., laddove, in occasione di una manifestazione in luogo pubblico, o aperto al pubblico, avvengano manifestazioni o grida sediziose o lesive del prestigio dell’autorità o idonee a mettere in pericolo l’ordine pubblico o la sicurezza dei cittadini ovvero quando sono commessi delitti, l’autorità di pubblica sicurezza ha il potere di intervenire al fine di ripristinare l’ordine pubblico, seguendo la procedura descritta dagli artt. 22, 23 e 24 T.U.L.P.S. (invito a disciogliere la riunione, formali intimazioni precedute da uno squillo di tromba, ordine di discioglimento con la forza).

Ebbene, il Tribunale non può che prendere atto come niente di tutto ciò sia avvenuto nella vicenda che si esamina.

Non vi è dubbio che nel pomeriggio del 16.5.2015 alcune manifestazioni di dissenso da parte degli imputati nei confronti degli esponenti della Lega Nord siano trasmodate; tuttavia, non vi è traccia agli atti di alcuna intimazione a disciogliersi né di preavvisi di dissuasione, come precisato dai testi di polizia giudiziaria escussi. Da un lato, infatti, il sovrintendente Fantozzi, negava che fossero stati proferiti avvertimenti nei confronti dei manifestanti (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018 testim. Fantozzi, pag. 17); dall’altro, l’ispettore Angiulli riferiva che, nei momenti di più alta tensione — identificati dalla predetta in quelli coincidenti con la diffusione dei volantini nonché nei pugni sferrati sull’autovettura che trasportava l’onorevole Salvini — aveva invitato gli autori di tali contegni ad interrompere la loro azione e ad allontanarsi (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Angiulli, pag. 22-23).

Nondimeno, la visione dei filmati versati nel fascicolo del dibattimento dà conto di interventi delle forze dell’ordine che si sono per lo più concretizzati in una attività volta a tenere a distanza i contestatori dalla personalità politica ed a contenere il loro dissenso.

In altri termini, si può tranquillamente affermare che il mancato ricorso alla procedura prescritta dagli artt. 22, 23 e 24 T.U.L.P.S. evidenzia, a contrario, una presunzione di carenza di quei presupposti che l’art. 20 T.U.L.P.S. individua come indispensabili per pervenire allo scioglimento della manifestazione, vale a dire che si tratti di manifestazioni o grida sediziose o lesive per il prestigio dell’autorità o idonee a mettere in pericolo l’ordine pubblico o la sicurezza dei cittadini ovvero, ancora, quando siano commessi delitti.

Ma, a tutto concedere, a sgombrare il campo dalla possibile sussistenza del reato contravvenzionale di cui all’art. 18 T.U.L.P.S. è la disciplina prevista dall’ultimo comma di tale norma, la quale stabilisce che le disposizioni dell’art. 18 citato non si applicano alle riunioni elettorali, la cui nozione, secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione, «comprende, allo stato della legislazione, soltanto quelle riunioni che, collegandosi direttamente ed in qualsiasi modo ad una futura consultazione elettorale,

precedono lo svolgimento della votazione, abbiano o non abbiano esse il carattere di riunioni di propaganda elettorale in senso stretto» (Cass. Pen., Sez. 1, 16.12.1975, n.7229).

Ben può affermarsi, dunque, che i comizi elettorali sono esenti dall’obbligo del preavviso, rinvenendo tale esonero la propria ragione giustificativa nel costituire questo tipo di riunioni indispensabili strumenti di attuazione di fondamentali principi costituzionali.

2) La contravvenzione di radunata sediziosa di cui all’art. 655 c.p.

Si è già avuto modo di precisare che le riunioni cui fanno riferimento gli artt. 17 Cost. e 18 T.U.L.P.S. sono quelle che avvengono pacificamente e senz’armi.

Non già, quindi, le radunate sediziose, sanzionate dall’art. 655 c.p. e contestate agli imputati odierni.

La disposizione codicistica commina pena contravvenzionale per la partecipazione ad una radunata che sia formata da un numero minimo di dieci persone e che sia qualificata dall’attributo della sediziosità.

In linea generale, la radunata rappresenta la convergenza in uno stesso luogo di un numero notevole di persone, non inferiore a dieci, e può essere prestabilita ovvero casuale ed improvvisa.

Non è necessario, infatti, un preventivo concerto fra i partecipi, ma è indispensabile che le persone riunite agiscano e si dimostrino di fatto animate da concordi intenzioni.

Peraltro, affinché la contravvenzione in parola possa dirsi configurata non va preso in considerazione il numero delle persone particolarmente attive e, dunque, protagoniste della radunata, bensì il numero complessivo dei partecipanti alla stessa. Sul punto, la Suprema Corte ha, infatti, statuito il principio di diritto in forza del quale «ai fini della configurabilità del reato di cui all ‘art. 655 cod. pen. (radunata sediziosa) non va preso in considerazione il numero delle persone particolarmente attive e come tali protagoniste della radunata, bensì quello complessivo dei partecipanti alla riunione, compresi quelli non identificati dalla polizia. Indipendentemente, infatti, da un preventivo concerto, anche un casuale assembramento assurge a radunata quando le persone riunite agiscono unanimemente e si dimostrino animate da concordanti intenzioni» (Cass. Pen., Sez. 6, 6.2.1973, n. 4023).

Dunque, anche un semplice assembramento ben può trasformarsi in radunata sediziosa in presenza di un unanime agire e di concordi intenzioni che ispirano le persone riunite.

Pertanto, al fine di valutare se la condotta degli odierni imputati integri la fattispecie penale di cui all’art. 655 c.p., occorre concentrare l’attenzione sul concetto di ‘sediziosità”, intorno al quale ruota l’intera fattispecie criminosa.

A fronte del vuoto normativo, la nozione di atteggiamento sedizioso si ricava, anzitutto, dalla Corte Costituzionale, la quale, nella sentenza n. 15/ 1973, dopo aver premesso che «l’oggettiva sediziosità di una condotta va di volta in volta accertata, in relazione a circostanze di tempo, di modo e di luogo, tenendo soprattutto conto del suo specifico contenuto», ha affermato che «atteggiamento sedizioso penalmente rilevante è soltanto quello che implica ribellione, ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni e che risulti in concreto idoneo a produrre un evento pericoloso per l’ordine pubblico».

Sulla stessa linea interpretativa si è attestata la più autorevole dottrina, individuando il carattere sedizioso dell’adunata nel dato della pericolosità per l’ordine pubblico, del quale — è stato anche precisato — si debbono rendere conto i partecipanti, sicché non incorre nella contravvenzione l’individuo che si avvicini alla folla soltanto per curiosità.

Analogamente, la stessa giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di puntualizzare che «si considera sedizioso, ai fini della configurabilità del delitto di cui all ‘art. 655 cod. peli. (radunata sediziosa), il comportamento che esprime ribellione, sfida ed insofferenza verso i pubblici poteri e verso gli organi dello Stato cui è demandato di esercitarli, comportamento desumibile dal complessivo, inequivoco atteggiamento della folla riunita» (Cass. Pen., Sez. 6, 6.2.1973, n. 4023).

Ancora, è stato evidenziato — più recentemente — che «integra il reato di adunata sediziosa la condotta di chi prenda parte ad una riunione o ad uno assembramento di dieci o più persone con uno scopo prestabilito e manifesti comportamenti di ribellione e di ostilità nei confronti di chi rappresenta l’autorità e la forza della legge, con conseguente pericolo di creazione o di protrazione di uno stato di turbamento per l’ordine pubblico» (Cass. Pen., Sez. 6, 9.11.2012, n. 6347).

Da tali condivisibili principi ed affermazioni discende che la disposizione di cui all’art. 655 c.p. è volta a contrastare manifestazioni che non si risolvono più in semplici forme di critica e di dissenso, finalizzate ad esprimere un generico malcontento, ma che mirano a sovvertire l’ordine costituito, capaci di ingenerare una situazione di allarme sociale; come tali, dunque, passibili di repressione.

Orbene, una attenta analisi delle risultanze processuali non consente di affermare che i manifestanti — odierni imputati — fossero animati dall’intento comune di esprimere ribellione od ostilità ovvero, ancora, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni, sì da comportare un pericolo, concreto o anche meramente potenziale, per l’ordine pubblico, sulla cui assenza si è già detto sopra, evidenziando anche il mancato ricorso delle forze dell’ordine alle procedure di cui agli artt. 22, 23 e 24 R.D. n. 773/1931.

Ma, ad ogni modo, ad escludere in radice la sussistenza della contravvenzione di radunata sediziosa nel caso che si giudica soccorre una interpretazione letterale e logica della disciplina contenuta nel Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza.

A ben vedere, l’art. 21 T.U.L.P.S. dispone testualmente che “è sempre considerata una manifestazione sediziosa l’esposizione di bandiere o emblemi, che sono simbolo di sovversione sociale o di rivolta o di vilipendio verso lo Stato, il governo o le autorità”

Di conseguenza, l’offesa diretta allo Stato, al governo ovvero alle autorità non può che considerarsi un elemento costitutivo della manifestazione sediziosa punibile ai sensi dell’art. 655 c.p.

Dunque, se è vero che nella manifestazione svoltasi a Viareggio nel maggio del 2015

l’attività di disturbo e contestazione degli imputati si è concretizzata in grida, slogan, rumori con fischietti da stadio, trombette, lanci di uova, pugni sull’autovettura (a bordo della quale viaggiava la personalità politica più volte citata), esposizione di vessilli e bandiere, è altrettanto vero che l’attività medesima è stata profusa nei confronti dei contenuti e dei programmi del partito politico che l’onorevole Salvini rappresentava, nella sua veste di segretario federale e di parlamentare europeo, ma non nei confronti di un esponente o rappresentante dello Stato o del governo ovvero di una autorità pubblica.

E’ già dunque sul piano oggettivo del reato di cui all’art. 655 c.p. — che, si badi bene, pure deve essere psicologicamente connotato da un atteggiamento doloso — che la tesi dell’originario impianto accusatorio risulta priva di consistenza.

3) La contravvenzione di accensione od esplosioni pericolose di cui all’art. 703 c.p. Al solo Di Beo Michelangelo è contestata la fattispecie contravvenzionale prevista all’art. 703 c.p.

Va immediatamente rilevato che l’istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare che gli artifizi fumogeni accessi dal predetto imputato fossero non uno, come sostenuto dallo stesso nel corso del suo esame dibattimentale, bensì due, come — del resto — affermato nel capo d’accusa e come sembra evincersi dalla visione del relativo supporto informatico (v. DVD “Allegato annotazione per contestazioni On. Salvini Viareggio 16.5.2015”).

In ogni caso, la questione inerente al numero dei fumogeni accesi, che la Difesa ha circoscritto ad uno solo, non è questione dirimente ai fini del giudizio.

L’art. 703 c.p. menzionato punisce il contegno di colui che, in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa, in assenza della licenza dell’autorità, spara armi da fuoco, accende fuochi d’artificio, lancia razzi, innalza aerostati con fiamme ovvero fa accensioni od esplosioni pericolose.

Due, dunque, sono i presupposti affinché la fattispecie contravvenzionale possa dirsi integrata: la mancanza della licenza dell’autorità ed il luogo dell’accensione o della esplosione non autorizzata.

In particolare, per quanto concerne quest’ultimo profilo, la disposizione in esame prevede una circostanza aggravante per il caso in cui il fatto sia commesso in un luogo ove vi sia adunanza o concorso di persone.

Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che «in tema di accensioni ed esplosioni pericolose (art. 703 cod. pen.), l’ipotesi del fatto commesso in luogo ove vi sia adunanza o concorso di persone (comma 2) non costituisce figura autonoma di reato, bensì circostanza aggravante, avente natura oggettiva, la cui configurazione presuppone la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie base tipizzati al comma 1» (Cass. Pen., Sez. 1, 20.10.2016, n. 19621)

A ciò aggiungasi che «ai fini della sussistenza del reato di cui all ‘ultima parte dell ‘art. 703 cod. pen. per adunanza o concorso di persone va inteso non già la presenza di più persone che sia normale rispetto al centro abitato o alla via in cui si verificano le accensioni o le esplosioni pericolose, ma è necessario un afflusso particolarmente elevato di persone in rapporto all ‘ampiezza del luogo» (Cass. Pen, Sez. 4, 1.3.1974, n. 4814).

E’ evidente che, tra le varie ipotesi previste dalla disposizione codicistica, quella che viene in rilievo nel caso di specie è la previsione di chiusura, contenente un generico riferimento alle “accensioni od esplosioni pericolose”, la quale si differenzia dalle altre per la necessità da parte del giudice di effettuare una valutazione ulteriore rispetto all’accertamento del fatto, consistente nel verificare la sussistenza di un concreto pericolo per la pubblica incolumità. Ed a tal fine la stessa vicinanza al termine “esplosione” fa capire quale grado di pericolosità l’accensione debba avere.

Ciò premesso, è di tutta evidenza come i due artifizi fumogeni oggetto di disquisizione non possano essere qualificati in termini di accensioni od esplosioni pericolose.

Invero, la visione dei filmati e del materiale fotografico acquisiti al fascicolo dibattimentale evidenziano che il Di Beo, che si trovava a poca distanza rispetto al cordone di polizia, aveva proceduto ad accendere i fumogeni ed, una volta esaurito il loro effetto colorante, li aveva lasciati cadere a terra.

Ed è lo stesso teste di polizia giudiziaria Fantozzi a riferire su questo, sostenendo che .Ii ha accesi, tenuti in mano e poi lasciati cadere a terra’ aggiungendo, successivamente, che non era stata effettuata alcuna verifica in ordine alla disponibilità di una apposita un’autorizzazione (v. verbale stenotipico udienza 25.5.2018, testim. Fantozzi, pag. 6).

L’istruttoria dibattimentale ha, dunque, reso palese l’assenza di pericolosità di quelle accensioni.

Inoltre, poiché i predetti fumogeni non venivano recuperati dalle forze dell’ordine (v. verbale udienza 25.5.2018, testim. Fantozzi, pag. 20), appare oltremodo arduo comprendere se si trattasse di un artifizio vietato ovvero di un prodotto — secondo quanto dichiarato dall’imputato Di Beo — “regolarmente acquistabile” da soggetti di età superiore agli anni diciotto “nei negozi che ne fanno vendita” (v. verbale stenotipico udienza 14.12.2018, esame Di Beo, pag. 6).

Alla luce del complesso di considerazioni sopra esposte, una pronuncia assolutoria ex art. 530 c.p.p. in relazione alle varie ipotesi di reato contestate si impone doverosa per tutti gli imputati.

Per l’effetto, ai sensi dell’art. 464, comma 5, c.p.p., si revoca il decreto penale di condanna anche nei confronti dei coimputati dello stesso reato che non avevano proposto opposizione ovvero che vi avevano rinunciato.

d) La richiesta del Pubblico Ministero di trasmissione degli atti

Nel corso dell’udienza del 14.12.2018 il Pubblico Ministero, dopo aver concluso per l’assoluzione degli imputati in ordine a tutti i reati a loro contestati, richiedeva la trasmissione degli atti al proprio Ufficio, invitando il Tribunale a valutare se nel corso del processo fossero emersi indizi della sussistenza di eventuali ulteriori reati, con particolare riferimento all’art. 610 c.p., integrato dalla condotta dell’imputato Giannetti Alessandro, il quale — come accertato — si era reso autore dei colpi sferrati con entrambe le mani sul tetto dell’autovettura in cui si trovava l’onorevole Salvini, provocandone alcune ammaccature.

Ebbene, al di là delle preclusioni generali derivanti dall’applicazione dell’art. 649 c.p.p. con riferimento alle condotte analiticamente descritte nel capo d’accusa e tutte sussunte nelle fattispecie contravvenzionali oggetto del presente processo — tra le quali va annoverata anche quella posta in essere da Giannetti Alessandro —, è appena il caso di rilevare che il bene giuridico protetto dal menzionato art. 610 c.p. è identificabile nella libertà morale della persona, intesa sotto il duplice aspetto della libertà di autodeterminazione secondo motivi propri e della libertà di azione orientata secondo le autonome scelte del soggetto.

A ben vedere, le risultanze dibattimentali non consentono di ravvisare nei fatti accertati contegni idonei a coartare la volontà di alcuno, essendo incontestabile, tra gli altri, il dato processuale relativo alla condotta tenuta dal conducente del veicolo sul cui tetto venivano sferrati i pugni, il quale decideva volontariamente di arrestare la marcia della propria autovettura e, sceso dalla stessa, simulava il lancio di una bottiglietta d’acqua verso taluno dei manifestanti, per poi riprendere il percorso originario.

Né, ad avviso del Tribunale, sono emersi altri comportamenti ascrivibili ai manifestanti che possano astrattamente integrare ipotesi del reato di violenza privata.

D’altra parte, con riferimento alla specifica condotta di Giannetti Alessandro, nemmeno ricorrono i presupposti per configurare una ipotesi di danneggiamento aggravato ai sensi del comma 2 dell’art. 635 c.p.

Laddove, infatti, si reputi che da tale condotta sia derivato un deterioramento dell’autovettura, tale da pregiudicarne o da ridurne la funzione strumentale, non può sicuramente ritenersi integrato il delitto di danneggiamento aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 7), c.p., nella parte in cui fa riferimento alla esposizione (per necessità o per consuetudine o per destinazione) del bene alla pubblica fede.

E’ noto come la menzionata aggravante non sia correlata alla natura — pubblica o privata — del luogo in cui si trova il bene, bensì alla sua condizione di esposizione alla pubblica fede, la quale ricorre laddove la cosa rinvenga protezione unicamente nel senso di rispetto che di essa abbiano i consociati. Ed è altrettanto noto che per pubblica fede deve intendersi quel sentimento di rispetto, di affidamento e di onestà verso la proprietà o il possesso altrui nel quale confida colui che lascia — anche solo temporaneamente — un bene incustodito.

La ratio dell’aggravante, pertanto, risiede nella necessità di assicurare una maggiore tutela ai beni che, posti al di fuori della sfera di diretta vigilanza del proprietario, sono lasciati privi di una custodia continua e che, per tale ragione, possono essere più facilmente aggrediti.

Nel caso di specie, tuttavia, è acclarato che il conducente non ha mai perso, nemmeno momentaneamente, il controllo sul veicolo del quale era alla guida; deve, di conseguenza, escludersi ictu oculi l’integrazione della circostanza aggravante de qua. Né, peraltro, l’automobile sulla quale viaggiava l’onorevole Salvini era destinata a pubblico servizio o pubblica utilità.

Per quanto concerne, poi, il lancio dei volantini denigratori sulla ridetta autovettura — che il Pubblico Ministero ha ritenuto di ricondurre all’interno della fattispecie contravvenzionale come parte o frazione della più ampia condotta di radunata sediziosa — nel quale si sarebbe potuto, al più, ravvisare il reato di all’art. 594 c.p. (all’epoca vigente) nella sua forma cd. reale, non si può che prendere atto della mancanza di querela e, comunque, della intervenuta depenalizzazione introdotta dal decreto legislativo n. 7/2016, che ha interessato anche il cd. danneggiamento semplice.

In ogni caso, come richiesto, si dispone che copia degli atti sia comunque trasmessa all’Ufficio del Pubblico Ministero.

Il Tribunale, ai sensi dell’art. 544, comma 3, c.p.p., indica il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.

Visto l’art. 530 c.p.p.

assolve gli imputati dai reati a loro ascritti perché il fatto non sussiste. Indica il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione della sentenza.

Lucca, 14 dicembre 2018

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